La #bigolada è la tradizione più caratteristica di Castel d'Ario. Il nome e la tipologia del cibo risalgono agli anni Venti del Novecento, ma la festa si inserisce in una precedente manifestazione nata l'8 marzo 1848, alla vigilia della prima guerra d'indipendenza. Allora, in segno di protesta anti-austriaca e anti-clericale, si erano distribuiti gratis alla popolazione "polenta, aringhe, cospettoni e vino piccolo". La principale caratteristica di questa pasta è la ruvidità che le consente di trattenere il condimento. Caratteristica dovuta al tipo di preparazione a trafila che impiega torchi azionati a mano, in cui si fa passare un impasto piuttosto sodo. In questa ricorrenza a Castel d’Ario vengono cotti, in enormi paioli, più di dieci quintali di spaghetti. Il condimento si prepara facendo sciogliere nell’olio, aromatizzato con l'aglio, le sardine (o le acciughe, dal sapore più delicato) dissalate e pulite.
Il #pellagroso. Giornale popolare, amministrativo, politico. Edito a Castel D’Ario dal 28 Dicembre 1884 al 22 Marzo 1885, fondato e diretto dal maestro Tito Melesi. Dopo il tredicesimo numero il foglio fu costretto a sospendere definitivamente le pubblicazioni a causa dell’arresto del suo direttore, accusato di aver contribuito a organizzare gli scioperi dei braccianti mantovani. Il titolo del periodico è accompagnato da una vignetta raffigurante un bracciante circondato dagli strumenti del suo lavoro, in mano ha una fetta di polenta e una scodella d'acqua, come si legge sui due oggetti, a significare le cause della piaga che affliggeva i lavoratori in quel periodo. Il pellagroso non è un giornale culturale, si presenta in modo duro a fa pensare subito alle pance gonfie, agli arrossamenti della pelle e della lingua, ai disturbi psichici, manifestazioni della malattia. Il pellagroso denuncia i problemi della società, invoca il genio dell’umanità che doveva condurre al sospirato lido della fratellanza. Il giornale pubblica settimanalmente, nella quarta pagina, il bollettino della Borsa del Pellagroso, cioè dei prezzi delle derrate.
La #mondina era impiegata durante il periodo di allagamento dei campi, tendenzialmente dalla fine di Aprile agli inizi di Giugno, dall’alba al tramonto, al fine di proteggere le piantine di riso dallo sbalzo termico nelle prime fasi del loro sviluppo. Il lavoro consisteva nel togliere le erbacce infestanti che crescevano nelle #risaie e che rischiavano di compromettere la crescita delle piantine. Le condizioni d’impiego di queste lavoratrici erano pessime e la figura della #mondariso nel corso del tempo si è ritagliata uno spazio ben definito: paladina delle rivendicazioni salariali e dello scontro di classe nel mondo contadino da un lato ed espressione dell’emancipazione femminile dall’altro. Durante la giornata lavorativa le mondine usavano cantare tutte insieme e spesso intonavano canti provocatori. Il cappellone cui si allude nei versi finali di questa canzone è probabilmente il largo cappello di paglia che le mondine usavano per proteggersi dal sole e che può finalmente essere abbandonato al momento di tornare a casa.
Questo è il canto che contraddistinse il lavoro delle mondine nei campi, un canto di protesta contro il padrone e le dure condizioni a cui erano costrette. #video
Saluteremo il signor padrone
Saluteremo il signor padrone
Per il male che ci ha fatto
Che ci ha sempre maltrattato
Fino all’ultimo momen’
Saluteremo il signor padrone
Per la sua risera neta
Pochi soldi in la casseta
Ed i debiti a pagar
Macchinista macchinista faccia sporca
Metti l’olio nei stantuffi
Di risaia siamo stufi
Di risaia siamo stufi
Macchinista macchinista faccia sporca
Metti l’olio nei stantuffi
Di risaia siamo stufi
A casa nostra vogliamo andar
Con un piede con un piede sulla staffa
E quell’altro sul vagone
Ti saluto cappellone
Ti saluto cappellone
Con un piede con un piede sulla staffa
E quell’altro sul vagone
Ti saluto cappellone
A casa nostra vogliamo andar
Classico della poesia dialettale mantovana, La #musapaisana è una raccolta di liriche pubblicate nel 1923 da Anfibio Rana, pseudonimo di Doride Bertoldi, prete singolare e bizzarro, non stimato dalla gerarchia, ma intimamente legato alla campagna e ai contadini, al loro mondo di fossi e risaie, di campi assolati e nebbie profonde. Seppe
cantare quell’universo fatto di braccianti e #mondine, di sogni e aspirazioni deluse,
una denuncia sociale condita con una vigorosa carica di ironia. Molte sono diventate
espressioni vivaci e colorite usate ancora oggi nel linguaggio
comune come «Sant’Antoni chi solèr».
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